Giorno 28 - 22/2
Il 22 di febbraio è un giorno di viaggio, destinazione Kampong Cham e a raccontarvi quel che è successo è la Matrona. Concludiamo la collaborazione con WeWorld con un ringraziamento enorme ad Andrea e tutte le persone che ci hanno permesso di portare il nostro spettacolo per 17 volte e di tenere 5 giornate di laboratori per quasi 1000 bambini. Prima che il gruppo si divida, ci resta ancora qualche giorno assieme e siccome non ne abbiamo ancora abbastanza e il 17 porta male, con una tipica riunione in furgone decidiamo di provare a fare spettacolo in strada, quella vera, estemporanea e improvvisata, senza l’abbraccio protettivo e mediatore delle ong. Andrea ci ha dato qualche consiglio ma Sarin pensa che probabilmente finiremmo arrestati… Abbiamo un piano: arriveremo nella città “turistica” di Kampong Cham ed il trio leopardo capirà dove fare spettacolo mentre gli altri andranno alla guest house per scaricare i nostri 364 kg di zaini per poi ritornare al punto scelto, carichi duri per montare ed iniziare..
Ci lasciamo alle spalle le verdi montagne di Mondulkiri. Davanti a noi si riapre l’infinita pianura cambogiana. Viaggiando, ci scopriamo ormai abituati al caotico traffico khmer in cui la precedenza è decisa dalla stazza del mezzo, all’infinità di motorini Honda con minimo due persone in sella, alle mucche e i cani intrepidi - o ignari - che attraversano la strada, alle bici e a mezzi ultra carichi dalle motrici Steam-Punk che trainano qualsiasi tipo di cosa. Mentre decidiamo di togliere dallo show alcuni pezzetti e ci accordiamo in maniera scientificamente spannometrica sul riadattamento dello spettacolo alla piazza pura, il Mekong si mostra davanti a noi con tutta la sua elegante placidità. Molti di noi era la prima volta che lo vedevano, altri avevano già fatto la conoscenza delle sue differenti forme e dimensioni nel viaggio precedente in Laos nel 2018. Dall’altra parte del fiume, la nostra meta, Kampong Cham, città portuale molto importante nell’epoca coloniale francese, ora è una metà turistica per la presenza del più lungo ponte di bambù al mondo, 800 m. Da secoli viene ricostruito dopo le piene monsoniche del Mekong che ciclicamente lo spazzano via.
Torniamo a noi. Appena scaricato tutto il materiale per lo spettacolo, Sarin preferisce parcheggiare il furgone un km più in là e tenere d’occhio la situazione da distante. Il trio ha scelto uno slargo sul lungo fiume, sembra perfetto, c’è passaggio di gente, la pavimentazione è liscia e piana, ci sono addirittura gli ancoraggi per la corda. Peccato che sarà l’unico punto praticamente al buio di tutta la passeggiata. Dopo qualche tentennamento e una buona mezz’ora per formare un cerchio di persone riusciamo ad iniziare e “portare a casa” lo spettacolo. Un ringraziamento speciale va a due intrepide studentesse cambogiane e ad una coppia di ragazz* europe* che si sono sedute per prime ad assistere allo spettacolo, dimostrando a tutti i curiosi e timorosi intorno che potevano avvicinarsi a quel gruppo di pazzi bianchi che facevano cose spettacolari e divertenti. Senza di loro probabilmente saremmo ancora lì a tentare di far partire lo spettacolo…
Abbiamo imparato molte cose da quest’esperienza:
-le torcette da testa possono essere degli ottimi, anche se accecanti, occhi di bue (nome tecnico del faro da teatro che ti illumina seguendoti).
- la corda molle come primo numero è perfetta come rompighiaccio e acchiappa pubblico.
- i cani ti abbaiano addosso mentre fai spettacolo anche in Asia.
- la strada ti ricorda a schiaffoni che sei un essere umano come chiunque.
- gli abbracci, le strette di mano e le parole dette col sorriso in una lingua che non capisci alla fine dello spettacolo, valgono tutti gli sforzi e la frustrazione.
- che la birretta con gli amici dopo aver portato a casa uno spettacolo abbastanza difficile, è pura gioia!!!
L’indomani lasciamo la cittadina, dopo aver fatto una passeggiata dall’altra parte il bambù bridge verso Koh Pen, “koh” in khmer e in thai significa isola. Il caldo è torrido e la luce ci stringe gli occhi dietro gli occhiali da sole, il ritmico suono prodotto dai nostri passi che rimbalzano deliziosi sul bambù ci riaccompagna verso Sarin e il furgoncino, alla volta di Phnom Penh. Una volta depositati alla Guest house, dopo un rosario di imprecazioni in cambogiano per aver centrato in pieno l’orario di punta, Sarin ci saluta e ci lascia al nostro destino. Ora lo attende una settimana di meritate vacanze dalla sua famiglia a Sihanoukville. Ah! Il nostro Guido… che tipo! Calzante personaggio eletto all’unanimità membro ad honorem di Circo Inzir!
Dopo 28 giorni di villaggi, campagne e piccole cittadine, arrivare nella capitale è un mezzo shock. Tra grattacieli e viali a sei corsie non siamo più i Barang, le curiosità aliene al centro dell’attenzione. Qui siamo turisti occidentali. Phnom Penh oggi è una città da oltre due milioni di persone che si è lasciata apparentemente alle spalle l’orrore provocato dai Khmer Rossi. I palazzi reali e i templi spadroneggiano con il loro splendore dorato, molti mercati coperti, e non, propongono cibi e merci di ogni tipo. Banche di ogni nazionalità sorgono in palazzi di acciaio e vetro mentre il traffico cambogiano scorre caotico come un formicaio operoso ai loro piedi. Aver citato la presenza di molte banche non viene dal caso. Parlando qua e là durante il viaggio, veniamo a sapere che purtroppo non sempre “dal letame nascono i fior”. La Cambogia è uno dei paesi più corrotti al mondo. Dopo la riapertura al mondo occidentale, negli anni ’90 è diventata uno dei punti più grossi di riciclaggio di denaro, qui quest’ultimo entra sporco e attraverso giri vari ed eventuali viene lavato per poi essere rimesso nel mercato internazionale. Si dice che il governo, sempre lo stesso dal ‘79, sia corrotto dagli interessi economici delle multinazionali e dalle banche che ne sfruttano il territorio e le risorse naturale e umane attraverso affitti da 99 anni e concessioni di 200 anni perché gli stranieri non possono comprare immobili e terreni in Cambogia. Bel escamotage, no?! Ogni 5 anni avvengono le elezioni, come in ogni paese “democratico” che si rispetti, ma l’opposizione è quasi inesistente e “the Men of the Party” vincono con percentuali altissime attraverso elezioni truccate e corrotte. Tengono buono il popolo, ancora traumatizzato per il genocidio, con piccole migliorie alle infrastrutture e alle scuole. Anche se il tasso di alfabetizzazione è abbastanza alto, molti bambini abbandonano la scuola per andare a lavorare. Ai docenti mancano invece adeguate qualificazioni; poiché le classi istruite e colte furono giudicate sovversive e quindi eliminate; ciò ha portato anche alla mancanza di un tessuto socio-culturale a cui i giovani possano ispirarsi. Il tasso di studenti universitari è del 2%. La sanità pubblica non esiste. Hun Sen, il primo ministro attuale in carica dal ’85, fece parte del governo di Angkar dei Khmer Rossi sin dalla fondazione.
Per meglio renderci conto su quello che è stato il regine di Angkar, siamo andati a visitare il museo del genocidio Tuol Sleng. Un tempo era la sede di una Scuola Superiore, “Tuol Sleng” significa "collina del mango selvatico”. L’edificio venne ribattezzato Ufficio di Sicurezza 21 (S-21) dalla dittatura; nella sigla "S-21", S sta per Sala e 21 è il codice del Santébal, la Polizia di sicurezza. Gli “ospiti” del centro furono i dignitari civili e ecclesiastici, i militari e i collaboratori del deposto regime di Lom Nol, gli intellettuali, la classe borghese, i professionisti, tutti i sospetti controrivoluzionari e gli appartenenti alla fazione pro-vietnamita e filo- sovietica del regime, che avevano complottato per rovesciare Pol Pot, ex-membri o soldati dei Khmer Rossi accusati di tradimento a favore di potenze straniere o di intrattenere rapporti con spie straniere. Con loro venivano imprigionati e giustiziati regolarmente tutti i famigliari più stretti perché sospettati di connivenza o di mancata delazione alla polizia segreta, infrangendo la "devozione assoluta e totale" che il Partito pretendeva dal popolo. Anche i neonati vennero barbaramente eliminati perché ritenuti incapaci di "totale purificazione e dedizione agli standard rivoluzionari" una volta che fossero divenuti adolescenti. Nei quattro anni di attività del centro di tortura e sterminio, oltre 20000 persone ne entrarono e solo sette ne uscirono vive. Follia allo stato puro.
Camminando tra i corridoi di quegli edifici arrivi ad un punto in cui semplicemente smetti di provare emozioni. Poi lacrime, di nuovo.
Mi scuso per il “pippone” ma ritengo doveroso raccontare anche tutto ciò. Quello che vedo, vivo e ascolto in viaggi come questo mi fanno prendere coscienza di quanti siano i privilegi che ho, e che do per scontato, come donna bianca in possesso di un passaporto europeo e rafforzano la mia convinzione sull’importanza di progetti come circo Inzir. Siamo dei granelli di sabbia spostati dal vento, che prima o poi - spero - formeranno una montagna di consapevolezza che franerà addosso alle menti corrotte dal guadagno e dalla paura di questo mondo malato.
Usciamo da quegli edifici sconvolti e con le immagini ancora in testa ci andiamo a preparare per fare spettacolo… Per fortuna la bizzarra realtà metropolitana e l’assurda missione che ci attende ci alleggerisce l’animo. L’incombenza non sta nel fare lo show ma nello spostare tutta l’attrezzatura fino alla piazza! Idea! Chiamiamo un tuk-tuk! L’autista non si scompone neanche un po’ nel vedere l’ammasso di borse, pali e cassa da dover far entrare nel suo mezzo. Tra le mie e le sue cinghie, cricchettiamo il tutto e partiamo. Io e lui…gli altri a piedi! Il motore arranca. Per fortuna Phnom Penh è in pianura perché altrimenti sarei dovuta scendere a spingere!
Il nostro palcoscenico per questa sera è un’enorme isola pedonale, con larghi marciapiedi che scorrono ai lati di un monumento centrale dedicato a Sihanouk (il re); giusto davanti c’è l’ambasciata indonesiana. E anche questa sera sfidiamo la sorte e vediamo se riusciamo a farci arrestare! Scegliamo questo posto per ripiego. Il posto più adatto ci sembrava la sconfinata piazza accanto il palazzo reale, ma stavano montando un mega impianto per una lezione di Zumba A quanto pare piace un sacco ai cambogiani!! Un’ora più tardi vari gruppi di gente si agitano a ritmo di musica pop khmer dappertutto. Sembrava quasi una Battle! Per fortuna ci siamo spostati in tempo… Stavolta va peggio del giorno prima…direi che riuscire a fare cerchio, è stata quasi un’agonia! Ma persino questa sera riusciamo a portarlo a casa e con una discreta quantità di pubblico. Per fortuna avevamo le frontali perché, anche stavolta, siamo finiti in un posto poco illuminato… Comunque non siamo troppo soddisfatti: diversi intoppi e buchi di scena… Domani proveremo in un’altra piazza! Poveri illusi! hihihi!
Il giorno seguente Santo ci abbandona, come previsto, per continuare il viaggio in solitaria in moto verso il Vietnam. In quanto a noi, dopo 4 ore di ricerche sotto lo schioppo del sole ed esserci fatti cacciare dalla polizia per ben due volte, decidiamo che è ora di mettere la parola fine. Come santi portati a spalla, accompagniamo in processione i nostri pali di bambù verso il fiume, lasciandoli scivolare via dalla corrente lì dove il Tonle Sai si getta tra le braccia rigogliose del Mekong. Ci è pure scappata una lacrimuccia di gratitudine e saudade… In realtà abbiamo messo in acqua solo il palo messo peggio. Ci sembrava uno spreco! Gli altri li abbiamo depositati vicino una barca in maniera che qualcuno li potesse recuperare. Romantici si, ecologisti pure!
Questa è l’ultima sera che passiamo assieme, ci facciamo una riunione di chiusura progetto e giro di feed back. É stato un bel viaggio, ricco di esperienze, incontri e scambi. Abbiamo imparato tanto, su noi stessi e gli altri. Domani il gruppo si dividerà: io, Polpett e Salsa di Gioia andremo verso ovest, nella città del pepe; gli altri verso nord tra le maestose rovine khmer di Angkor.
Finisce qui il quinto progetto del Circo Inzir, in questa terra devastata dall’arroganza dell’uomo che riesce comunque a essere generosa e accogliente oltre ogni aspettativa. Ma una domanda mi continua a ronzare in testa: sokhsabbay te Kampouchea? come stai cambogia?
con amore e riconoscenza la Matrona