Piccola pre-fazione
Eccoci di nuovo assieme per la quarta puntata di questa rubrica, di questo diario di viaggio, di queste pagine di sfogo personale collettivo. Oggi qui con voi c’è Mr. Nokia che vi saluta dalla polverosa Africa nera, molto nera. Continua con me questo esperimento di scrittura collettiva individuale che ci sta accompagnando nel nostro ed un po’ anche vostro, viaggio africano. Tutti gli avvenimenti narrati sono accaduti realmente ma sono, come è ovvio, filtrati dal punto di vista di chi li racconta, che in questo caso è il mio. Spero saprò essere oggettivo, ma non troppo, diciamo un 50 e 50.
Tutti i riferimenti a fatti, cose o persone realmente esistenti è assolutamente voluto.
Detto questo non mi resta che augurarvi buona lettura.
Partenze e arrivi
Partiamo stranamente puntuali da Goba dopo aver riordinato e reso presentabile il C.C.M., nostro nido e quartier generale per ben quattro giorni. Ci sentiamo ricaricati e rinfrancati ed evidentemente il sentimento è condiviso anche da Birba che parte a tavoletta lanciando il Brucomela, nome dato al bus viste le affinità cromatiche, a massima velocità per quasi 300 metri. Quasi subito però un poliziotto dalla faccia gentile ferma la nostra corsa ed evitiamo la sanzione solo grazie alle innate abilità diplomatiche e teatrali del nostro autista che sostiene sorridendo di andare “al massimo ai sessanta…”
Tempo tre minuti e siamo di nuovo fermi per un secondo controllo, nulla di che, siamo farenji e non vogliono disturbarci…. Dopo poco un altro controllo, di nuovo sosta di pochi attimi e via, certo però che ogni volta ci tornano in mente le voci ed i discorsi sulla zona militarizzata e la rivolta dell’etnia Oromo. Un paio di sere fa infatti, parlando al C.C.M. con Stefano, si era entrati nell’argomento e ci aveva accennato alle tensioni che ci sono da tempo tra gli Oromo che, sebbene occupino, sia numericamente che geograficamente, una fetta significativa dell’Etiopia, non hanno accesso a nessuna posizione di potere, detenute invece dalle etnie del nord. Personalmente non mi sono informato abbastanza per prendere una posizione ma sono convinto che andando verso sud e parlando con le persone avremo modo di capire di più la questione.
Tra posti di polizia e animali in mezzo alla strada saliamo e poi scendiamo una montagna compiendo dislivelli di quasi 2000 metri in poche ore. Si fa sempre più caldo. Particolari in queste polverose strade etiopi sono gli asini ed i muli che, ben piazzati in mezzo alla strada, ti guardano arrivare con l’occhio annoiato incuranti della tua velocità e della differenza di peso tra loro ed un autobus da 20 posti. Ti guardano e sembrano dirti “questa è la mia strada questa è la mia terra, spostati tu intruso!!”, cosa che puntualmente avviene.
Proseguendo in discesa dalle montagne ci imbattiamo in una zona coltivata a grano (forse), solo che il loro concetto di fattoria sono due capanne con il tetto in paglia, cactus alti due metri a fare da recinto e mucche allo stato brado a fare la guardia. Persone non se ne vedono, decisamente troppo caldo per lavorare. Più tardi a cena scopriremo che la costruzione delle capanne avviene ogni cinque anni ed è praticante l’unico lavoro fatto dagli uomini, che altrimenti non fanno quasi nulla tutto il giorno; parte della componente maschile del Circo InZir medita di rimanere in pianta stabile!
Rendendoci conto di essere quasi puntuali decidiamo di deviare di qualche chilometro per recarci ad Wondoghenet dove la guida riporta una sorgente di acqua termale nella foresta, impossibile resistere. Arrivati sul posto però un fraintendimento con un custode innesca l’ennesima discussione sul prezzo d’ingresso alle vasche di cemento che ospitano l’acqua. Ora, premesso che si può sempre sbagliare e non capire questa e quella cifra, a noi è sembrato decisamente che qualcuno della controparte non fosse stato proprio onesto visto che il prezzo é lievitato a vista d’occhio da 65 a più di 130 Birr in pochi minuti! Numerose parole in inglese e amarico dopo i guardiani cedono (quando ci impuntiamo diventiamo paragonabili ai muli) ed entriamo per 65 a persona! Siccome siamo un gruppo molto unito ed unanime un po’ di noi va alla vasca, un po’ sta in autobus e un po’ va a godersi l’ombra del parco sopra le terme… Comunque ormai ci siamo, via i vestiti, sotto le docce comuni e poi via nell’acqua calda a rilassarci, bellissimo! Solo che l’acqua è a temperatura giusta per le aragoste e fuori comunque ci sono 30 gradi! I più temerari di noi si immergono e altri arrivano solo fino al ginocchio, mentre le nostre carnagioni non esattamente color ebano attirano la curiosità dei bagnanti e presto ci troviamo a farci fotografare nelle terme in cui non riusciamo quasi ad entrare e che ci fanno diventare da bianchi a rossi in pochi attimi di immersione.
Asciugati e raffreddati si riparte e, giusto per ora di cena arriviamo ad Awassa, più precisamente al Venezia gestito dall’eccentrico Andrea, lagunare di nascita ed etiope di matrimonio. Assieme a lui ci accoglie Aba Leonardo (qui Aba è un prefisso simile al nostro “don”) prete missionario non appartenente a nessun ordine, infatti dice di essere disordinato, che è qui da appena 22 anni, di cui 20 fatti nella foresta! Ben piazzato ci aspetta a fianco della sua fidata jeep e subito ci trasmette l’idea, presto confermata, di sicurezza ed affidabilità. Devo confessarvi che personalmente non nutro una grande simpatia per il clero ma ho imparato dalla mia esperienza che quando un prete guida una vecchia jeep 4×4 probabilmente mi sarà simpatico, altra previsione presto confermata. Si cena in allegria grazie anche ad un bicchiere di vino Etiope (non storcete il naso, non era così male) un po’ di birre locali (queste sono buone, comunque meglio della nostrana Moretti) e finalmente un pizza (di nuovo non storcete, era quasi buona!). Presto si fa tardi tra i racconti di Aba Leo e le battute di un frizzante Andrea quindi, belli satolli, ci facciamo accompagnare al vicariato dove ci hanno preparato una stanza con letti per tutti. Noi apprezziamo, salutiamo, montiamo le zanzariere (siamo in zona malarica) e scivoliamo in un sonno ristoratore, si deve riposare, domani c’è spettacolo.
Arrivi e partenze
Sveglia ore 8:00, partenza ore 9:30, al massimo alle 10 siamo dalle suore di Madre Teresa di Calcutta. Entriamo con il bus nel cortile interno dell’ospedale che è una struttura d’assistenza per malati terminali, persone con problemi mentali e bambini nati sieropositivi. I pazienti ci guardano increduli ed incuriositi mentre un paio di noi salgono sul tetto del bus e si inizia a scaricare l’attrezzatura. Ormai la macchina è ben oliata, tutti sanno cosa fare e lo fanno! C’è chi monta la struttura delle aeree, c’è chi lega assieme i pali per sostenere la corda molle, c’è chi prepara picchetti e tiranti per i palo cinese, c’è chi si occupa della tecnica e della scaletta e c’è chi, da bravo ùmarell, incrocia le braccia dietro la schiena, non fa nulla e commenta tutto! A ben pensarci in questo paese ci sono così tanti cantieri da far felici tutti i pensionati d’Italia che potrebbero passare infinite giornate a commentare di tutto e di più.Ma scusate, ora sto divagando, torniamo a noi! In poco più di 90 minuti le strutture sono in piedi, la scaletta è pronta e gli attrezzi son preparati, quindi pronti via, si parte! Si va in scena? No no fa caldo, abbiamo quattro ore prima dell’inizio e caso vuole che qui ci sia un lago con un angolo senza ippopotami, coccodrilli e parassiti vari! In un attimo siamo in pullman che percorriamo le polverose strade della periferia di Awassa per arrivare all’eremo di preghiera che, guarda caso, ha anche un pratico accesso al lago. Anche se l’aspetto dell’acqua ci ricorda vagamente la peggio riviera adriatica (si, ricorre spesso tra ricordi e paragoni) la temperature del lago è perfetta e ci concediamo un bagno refrigerante sorvolati molto da vicino da uccelli autoctoni.
Risaliamo, ci asciughiamo e ripartiamo più freschi. Pranzo veloce e arriviamo dalle suore di Madre Teresa di Calcutta, da noi chiamate in economia di tempo “Teresine”. Troviamo tutto come lo avevamo lasciato quindi messi i costumi, truccati i visi e caricati gli animi si parte, questa volta per davvero, con lo spettacolo!
Il pubblico è molto lontano e all’ombra mentre noi siamo dritti sotto al sole africano ma questo non ci spaventa, anche se non possiamo far finta di non accusare il caldo e le nostre facce, quando usciamo di scena, arricchiscono decisamente la componente comica dello show. I numeri sono quelli di sempre, quelli che ci accompagnano dall’inizio di questo viaggio e alcuni da molto prima, con alcune eccezioni! Grandioso l’accompagnamento musicale del sulla performance del Bechin composto da diamonica (Giulio) e duo di ukulele (Fro e Nico), ma il merito più grande, secondo me, va alla nostra Sara che ha rialzato l’umore nostro e delle persone dopo un contrattempo non da poco. Finisce lo spettacolo e lascia decisamente contento un pubblico che, almeno secondo noi, ne aveva bisogno. Contenti i pazienti, contente le poche persone da fuori e contente le Teresine. Noi meno, ma questa è un’altra storia e non ne parlerò qui, almeno per ora!
Finisce lo spettacolo e con lui anche l’avventura africana di Valeria e Francesco che tornano ad Addis per poi tornare in Italia. Per noi è stato un piacere ed un onore condividere con voi questi 15 giorni, condividere il caldo ed il freddo, condividere lo stress e le litigate, condividere i bellissimi paesaggi, le albe i tramonti, le zanzare e le pulci, gli spettacoli e l’amicizia che ci lega! Ci mancate già e il Brucomela è troppo vuoto senza di voi! E poi eravate gli unici a parlare bene inglese!
Un po’ abbattuti decidiamo che la cosa migliore da fare e sfogarci sul cibo! Torniamo ad un grazioso localino dove eravamo stati a colazione. La proprietaria si chiama Carmencita (potrebbe non essere il suo vero nome) ed è una donna dai capelli rosso henné di origine Nigeriana, nata e cresciuta in Canada e con un ottimo inglese. Tra le varie portate meritano sicuramente menzione le omelette ed uno shiro e tegabino veramente ottimi! Non sapete cosa sono? Sono piatti tradizionali etiopici e vi consigliamo di provarli; se non sapete dove ci sentiamo di consigliarvi un ristoranti vicino a Rimini… Approfittiamo per un po’ della traballante connessione di Carmencita prima di tornare al vicariato e metterci a dormire, ognuno nella propria zanzariera; ricordate? qui c’è la malaria!
Si parte il giorno dopo alle 11, direzione Kebre Mengist. Ci arriviamo 5 ore dopo e ci fermiamo a mangiare ad un albergo che ci sembra di lusso ed in effetti lo è per gli standard del luogo, che sono velocemente diventati anche i nostri. Giusto il tempo di ingozzarci di capretto alla brace, tipico piatto locale, e ripartiamo verso Sodu Abala che è il villaggio in cui avremo spettacolo il giorno dopo. Il sole è tramontato e, tra una miriade di stelle, una luna appena nata sembra sorriderci ed augurarci buon viaggio. Per chi non lo sapesse più ci si avvicina all’equatore più la luna crescente assomiglia ad una fetta di melone che splende nel cielo, poetico no? Seguiamo fiduciosi la jeep di Aba Leonardo ma, purtroppo per noi, le nostre previsioni si rivelano presto troppo rosee e la strada peggiora di minuto in minuto. La tensione sale e arriva addirittura a spegnere il coro di nostalgici del punk rock anni ’90 che si era appena scaldato nel fondo del bus. Alle prime buche Derebè scherza allegramente ma quando un ramo di considerevoli dimensioni striscia su tutto il tetto provocando uno stridio da film dell’orrore i toni dell’allegro autista cambiano immediatamente. Ad ogni curva sempre più buche si aprono a terra e la vegetazione si stringe sempre più su di noi strisciando su finestrini e sul tetto! il tutto è aggravato dal fatto che l’unica fonte di luce utile sono i nostri fari che illuminano solo uno stretto tunnel fatto da rami, fronde ed alberi. Intanto la luna che prima sembrava sorriderci ora ci sembra un ghigno di un sadico Stregatto che ci osserva dall’alto! La tensione sale quando ad un bivio delle persone che stavano davanti ad un paio di capanne ci accerchiano e chiedono dove stiamo andando. Tutti i maschietti del bus si ricordano immediatamente che siamo tra le persone di una particolare tribù Oromo e che tra queste genti vige la tradizione di “tagliare le palline” ai propri avversari, anche se fortunatamente l’usanza è da tempo caduta in disuso. Dopo pochi attimi le persone, che sicuramente non avevano intenzioni ostili, ci indicano la direzione da prendere e proseguiamo il viaggio! Forse è meglio se facciamo un bel respiro e stiamo più calmi. Tra frasi stizzite in misto amarico ed inglese di Derebè, molte buche e molti rami molto bassi in un paio d’ore arriviamo ai cancelli della missione che, dopo quel viaggio carico di tensione, ci sembrano veramente una salvezza. In men che non si dica siamo portati in varie stanze tutte con il letto fatto con tanto di asciugamano pulito e saponetta nuova. Ci spiegano che qui la corrente e l’acqua calda vengono fatte con i pannelli solari e ci raccomandano di non sprecare. Di nuovo apprezziamo, salutiamo, non montiamo le zanzariere (qui non ci sono zanzare) e scivoliamo in un sonno ristoratore, si deve riposare, domani c’è spettacolo.
Sodu Abala, il sole e le mucche
Ci svegliamo senza troppa fretta la mattina seguente e finalmente vediamo il luogo in cui siamo arrivati la sera prima con la calda luce del sole africano. Tra dolci pendii Sodu Abala si rivela per quello che è: un villaggio composto da rade capanne di paglia, mucche che girano a piede libero, bambini ed adulti curiosi e prati verdi costellati da simpatici ricordi bovini. Fatta un’abbondante colazione ci attiviamo ed andiamo a vedere i due luoghi possibili per lo spettacolo. Il primo è all’interno della missione ed è uno spiazzo di cemento che sembra quasi un palco, con alle spalle un gigantesco albero di cui ignoro la specie (ma è un’acacia). Il secondo luogo possibile, invece, è poco sotto, più vicino al villaggio e alla scuola. Loro lo chiamano campo da calcio anche se le uniche cose che lo ricordano sono due porte senza reti. Anche questo posto è molto bello, con montagne verdi a fare da sfondo ed un paio di capanne sulla sinistra che vanno a completare un quadro davvero idilliaco. Senza quasi esitazioni decidiamo che questa volta sarà Maometto ad andare alla montagna e scegliamo il campo da calcio anche se questo implica portare di sotto tutta l’attrezzatura che si trova sul bus alla missione. Arrivati di sopra pensiamo di caricare tutte le strutture sulla jeep di Aba Leo e scendere con quella ma, quasi subito, ci viene offerto l’aiuto delle persone presenti che noi accettiamo. Si forma così una piccola folla e, tubo dopo tubo, palo dopo palo e corda dopo corda una fila indiana di inusuali sherpa, in men che non si dica, porta tutto al campo di calcio. Tutti vogliono aiutare e perfino i bambini si caricano tubi lunghi quattro volte loro. Arrivati a destinazione iniziamo a montare prima che il sole si faccia troppo caldo, anche se forse è troppo tardi. Sempre più coordinati tra noi alziamo struttura per le aeree e palo cinese in poco tempo mentre Dario, Gera e Solomo intrattengono i bambini a colpi di ruba bandiera e altri giochi non proprio di qui. Prima di andare “recintiamo” le strutture e spieghiamo, chiedendo a Sol di fare da traduttore, di non usarle perché potrebbe essere pericoloso sia per noi che per loro!
Lasciamo tutto pronto per lo show che sarà nel pomeriggio e torniamo al dormitorio per ed pranzare affrontare un’altra questione importante: un cambio di itinerario. Negli ultimi giorni ci siamo infatti resi conto che il viaggio, per come lo avevamo programmato, avrebbe previsto un’enorme quantità di tempo da trascorrere in autobus e molto poco per visitare luoghi e incontrare e conoscere persone. Si rischiava di finire a fare i classici turisti occidentali che, per la smania di vedere il più possibile, si godono il viaggio attraverso i finestrini dei loro mezzi, quasi fossero in acquario, ma al contrario, con i pesci fuori. Con un po’ di rammarico decidiamo di tagliare la visita alla valle dell’Omo, meta moto appetitosa ma che ci avrebbe costretti ad andare troppo lontano dal nostro giro! Quindi da Sodu Abala scenderemo a sue verso Yabelo per poi risalire verso Arba Minch, e già così fidatevi che è lunga!
Rifocillati e riposati alle quattro di pomeriggio scendiamo per lo spettacolo. Come al solito il pubblico è già lì che ci aspetta, sembra che non accusino il caldo come noi, o almeno non lo danno a vedere! Si parte con lo show e, anche un po’ grazie a Aba Leo entusiasta in prima fila, gli applausi sono molti e sembra che tutti, grandi e piccini, apprezzino sinceramente. Anche le mucche e gli asini sembrano contenti ma, impossibilitati ad applaudire, ci gratificano ragliando muggendo. Tutto va come previsto anche se il caldo è molto e mette a dura prova la nostra resistenza, poi chiaramente abbiamo portato di tutto per lo show, anche troppo ma nemmeno una bottiglia d’acqua! Finiamo più abbronzati di prima molto felici di avere fatto quello che Circo InZir si propone da quando è nato, cioè portare i circo ed il suo linguaggio nei posti più lontani e remoti, e direi che qui è abbastanza remoto, anche per i nostri standard. Finito lo spettacolo smontiamo tutto e, di nuovo, la catena umana che aveva portato giù tutta l’attrezzatura si riforma al contrario. Come piccole formichine in fila indiana, chi con un tubo, chi gli attrezzi, chi con altro, chi con nulla. Tutte le nostre cose risalgono e vengono caricate sul portapacchi del bus, pronte per la partenza.
La pista, il bus e la polvere
Il mattino seguente salutiamo Aba Leo e partiamo alla volta di Yabelo. Ci attendono 280 Km di pista non asfaltata. L’andatura media è i 20-30 Km all’ora e il viaggio è estenuante! Nonostante l’accortezza dell’autista sembra di stare dentro una botte che rotola giù da un pendio scosceso. Le vibrazioni rendono quasi impossibile leggere, quasi impossibile dormire e molto difficoltoso mangiare. Come se non bastasse la povere sollevata dalla pista ci costringe a tenere chiusi i finestrini e la temperatura sale velocemente. Per risparmiare tempo abbiamo preso pane, avocado e cipolla da mangiare durante i viaggio. Dai finestrini possiamo vedere moltissimi termitai di terra rossa che si riconoscono dall’alto pinnacolo che alle volte arriva anche a tre o quattro metri. Anche se sembra il grattacielo delle formiche, l’alta torre è in realtà una sorta di canna fumaria che serve a favorire il ricambio d’aria che altrimenti diventerebbe subir rovente.
Dopo otto ore capiamo che raggiungere Yabelo in giornata è improponibile e decidiamo di fermarci per dormire ad Agere Maryan, un paesino a metà strada. Arriviamo ad un bivio dove la pista lascia posto all’asfalto ma la nostra felicità dura poco visto visto che lo sterrato riprende dopo 100 metri. Arriviamo stremati e troviamo da dormire in uno dei soliti alberghetti economici che cominciano a piacerci molto. Il giorno dopo cambiano i luoghi ma non la posizione, sempre seduti sul Brucomena, direzione Yabelo. La strada oggi è asfaltata e arriviamo un tre ore! Pranziamo e facciamo un giro per la città, il punto più a sud che visiteremo. Yabelo è una tappa importante sulla rotta per il Kenia e, grazie a questo, ha la tipica connotazione di città di frontiera con un grande mercato che esibisce molta varietà di merci, cosa abbastanza rara da queste parti. Visto che è ancora presto decidiamo di arrivare a Konso, tappa intermedia per il cammino fino ad Arba Minch, città il cui nome significa: le quaranta fonti e che raggiungeremo il giorno dopo.
Piccola conclusione
Con quest’ultimo spostamento lasceremo la regione del Sidamo mettendo una sorta di punto e virgola nel nostro viaggio, termina quindi qui anche il mio racconto.
La giornata di ieri è finita con brindisi a base di Ouzo locale e tanta energia e voglia di viaggiare, spero vivamente che finisca in modo simile anche la vostra lettura.
Noi intanto continueremo a macinare chilometri a zonzo per lo stato che è definito il cuore dell’Africa, e stiamo capendo perché!
Looking like a faranji, come è giusto, non termina qui e continuerà con altre narrazioni che spero leggerete, solo non sarò io a scriverle.
Sperando di non avervi annoiato troppo vi ringrazio per essere arrivati in fondo a questa pagina e vi saluto ricordandovi di rimanere in ascolto per i prossimi aggiornamenti.