Per cominciare, vorrei fare un breve preludio, inerente alle religioni Etiopiche.
Nell’Etiopia, già prima dell’arrivo del cristianesimo, era presente la religione ebraica, soprattutto in una tribù, comunemente chiamata Falasha (fuggitivi), ma che si definiscono Bet Israel (casa di israele), ai quali ancora oggi lo stato di Israele riconosce la cittadinanza.
Tracce della religione ebraica rimangono ancora oggi nella chiesa Etiopica, nella quale ad esempio viene ancora praticata la circoncisione.
Il cristianesimo arriva intorno al 4 sec. D.C. Tramite due giovani che viaggiavano per visitare l’oriente con lo zio, un ricco commerciante, caduti prigionieri dei pirati, venduti poi come schiavi alla corte di Axum. Conquistata la fiducia dell’imperatore, diventano uno l’educatore degli figli del re e l’altro il tesoriere del regno, successivamente espanderanno il loro culto.
L’islam, pochi secoli dopo, colonizza la pianura della Dancalia e la zona Oromia, costruendo l’attuale quinta capitale mussulmana, Harer. In Etiopia, entrambe le religioni, si sviluppano indipendentemente dal bacino del Mediterraneo, assimilando culti e riti precedenti. Le tre religioni monoteistiche arrivano fino ai nostri giorni pacificamente.
Detto questo, appena mi presentai a Mesfin il nostro primo autista, uomo di 42 anni con un sorriso indimenticabile, gli chiesi se avesse famiglia. Rispose: “moglie e due figli”.
Uscendo da Addis Ababa passammo a fianco a un edificio dai colori Etiopi: giallo, verde e rosso. Difficile pensarla come luogo di culto, più facile vederla come sala da ballo o circolo ricreativo. Mesfin si fece il segno della croce e baciò il crocefisso appeso al collo. Intuii la sua fede e subito domandai come fosse la convivenza tra Islam e Cristianesimo e confermò quello che avevo già letto.
Due giorni prima di partire, mentre ero in ufficio alla Fekat – la scuola di circo di Addis – a fare chiamate in giro per l’Etiopia, per programmare il viaggio e i vari spettacoli, Giorgia compagna e madre dei figli di Dereje, mi presentò Solom.
Un piccolo ragazzo di 23 anni dagli occhi neri, dolci e stupendi, i capelli come una spugna di mare. Le sue origini in Tanzania, nato nella terra tigrina, nel nord. Madre cristiana e padre musulmano, abbandonato dal papà da piccolo, poco dopo orfano di madre. Finisce di crescere in un orfanotrofio. Conosce il circo e si forma viaggiando per l’Etiopia e il Gibuti, diventando oltre che un bravo acrobata, una bellissima persona.
Arriviamo a Adama o Nazret, finalmente otteniamo il mezzo più idoneo per il nostro progetto, il famoso Isuzu, bus utilizzato per lunghi viaggi collettivi e tour in piste di primo e secondo grado.
Drebe e Edriss sono i nostri nuovi compagni di viaggio, rispettivamente l’autista e l’aiutante.
Subito, come se fosse il loro nome di battaglia, li nominiamo Birba e Botta.
Drebe, uomo di circa 60 anni, vive a Addis da oltre 20 anni, ha tre figli, un maschio e due femmine, proviene dal nord, Sekota un piccolo villaggio Tigrino. Prima lavorava negli uffici governativi nella capitale, poi si sposta in Angola dove lavora nell’edilizia e impara il portoghese. L’anno scorso compra l’Isuzu e inizia a guidare per turisti e locali.
Appena mi presento a Edriss, 40 anni circa, ci scambiamo un abbraccio fraterno, come se ci conoscessimo da sempre, i suoi occhi esprimono generosità e amore. Per almeno mezza giornata non apre bocca, pensiamo sia muto, visto che utilizza la gestualità più di noi italiani.
Dirigendosi verso Goba, si aprono lunghe vallate coltivate a grano, con frequenti torrenti e pozze dove gli animali trovano ristoro e le donne lavano i panni. Dopo aver vissuto nella valle di Awash, sembra un sogno vedere piccole praterie verdi. Passato Asela incontriamo una centinaia di donne vestite con un grande scialle bianco. Sono le 14 e crediamo fossero appena uscita da messa.
Chiediamo al nostro nuovo amico e ci dice che si tratta di un funerale: qui le donne si vestono di bianco e nero con drappi sulla testa simili a quelli che ha sul suo cruscotto.
Appena passato Adaba ci fermiamo in un piccolo paese di cui non so il nome, per fare una pausa caffè e comprare pane, pomodori, aglio e cipolla, pranzo abituale durante gli spostamenti più lunghi. Io e Nico andiamo a comprare frutta e verdura per il viaggio, mentre gli altri si fermano a bere il caffè. Trovata la frutta, non vediamo ancora le donne con la verdura a terra, ordinatamente appoggiata sugli stessi sacchi che utilizziamo per trasportare l’attrezzatura da circo, vari tiranti e cordami. Nico chiede informazioni a un locale e subito ci accompagna, in lontananza scheletri di legno e bassi sonanti. Alla sinistra tante donne coperte di lunghi scialli bianchi, ballano al ritmo dei tamburi, creando una bianca medusa trasportata dalle correnti degli abissi. All’altro lato, dietro scheletriche bancarelle, poche donne colorate con ai loro piedi le “solite” verdure.
La strada si fa sempre più ripida, si mostrano a noi massicci imponenti, le Bale Monutains.
Lo sguardo dei pastori a cavallo pare raccontare la durezza della vita in montagna, affiorano gli occhi del passato della “mia” montagna.
Non ci sembra vero di essere passati da una delle zone più aride e calde alle seconde vette Etiopi.
Spostarsi così frequentemente, passare da temperature desertiche a alpine, indeboliscono i nostri corpi ancora pieni di piccoli punti rossi, regalo di Ghende Kore: compagne di notti insonne le pulci!
L’odore di un piccolo acquazzone ricorda a quasi tutti la fatica e lo stress della stagione estiva, ma subito voltando lo sguardo torniamo a capofitto nella culla del mondo: attorno a noi facoceri, nyala di montagna e la cervicapra redunca.
Poco prima di entrare a Goba, ad attenderci una piccola luce lampeggiante, Stefano, un ragazzo trevisano che lavora per l’onlus Comitato Collaborazione Medica, ci accoglie calorosamente e un po’ stranito dall’arrivo di così tanti Italiani. Scendendo dal bus conosciamo Abdul Aziz guardiano della casa. Entrando incontriamo Marco, antropologo dottorando che studia l’omosessualità in Africa, e Silvia, studentessa alla magistrale in cooperazione internazionale. I due collaboratori di Stefano stavano già cucinando la cena per tutti, entrambi stanno facendo servizio civile volontario.
Assieme a Stefano, dopo cena pianifichiamo la logistica degli spostamenti e dei pernottamenti dei due giorni di spettacolo a Angetu e Meda Walobo.
La mattina seguente ci svegliamo all’alba, facciamo velocemente colazione e saliamo sul nostro nuovo mezzo, in pochi minuti usciamo da Goba e attraversiamo il bosco di ginepro e higion abyssinico, dove piccole capanne dai tetti fumanti spuntano a tratti in mezzo ai grandi alberi.
Oltrepassati i 3300 m, inizia la brughiera di eriche, tra un cespuglio e l’altro spuntano piccoli roditori, i ratti talpa, che zompettano freneticamente preoccupati dal nostro passaggio.
Proseguendo nella scalata, la vegetazione diminuisce fino presentarsi un paesaggio lunare!
Siamo sopra ai 4000, scivoliamo lentamente fra le vette più alte d’Etiopia, lasciando alle nostra spalle il monte Batu. Sull’altipiano di Sanetti, fra discussioni sull’etica delle lauree ad onoris causa date a Valentino Rossi, Vasco e Patch Adams. Critiche al sistema universitario occidentale!
Poi un urlo!! il lupo!!! alla nostra destra, il manto rosso in contrasto con le grigie rocce, ci osserva inquieto il caberù. Il suo aspetto è molto simile a quello di una volpe o di uno sciacallo, ha tratto in inganno molti zoologi. Dopo un’analisi del dna, si è scoperto essere molto vicino al lupo europeo, per questo poi definito canis simensis.
Scendendo il versante meridionale, attraversiamo una foresta magica, mancava solo un folletto che ci invitasse a entrare nel suo mondo. Ci fermiamo per un caffè a Rira, piccolo villaggio con capanne a forma di iglù, fatte di bambu intrecciate magistralmente. Vale nota tre artigiani che ne stanno costruendo una, assieme andiamo da loro e ci costruisco due bicchieri in meno di un minuto. Tornando dal gruppo, vedo una moto mezza smontata e subito penso al nostro compagno di viaggio Gabo, ora a Cuba per studiare metodi di coltivazione e distribuzione alternativi.
Che dire, mi assale una grande malinconia… e mentre scrivo è ancora più grande! Ma felicemente lo penso ad approfittare delle onde Atlantiche, del buon caffè e dello spirito cubano! Il giorno che lo rincontrerò nelle bassa Padana e scambieremo i racconti dei nostri viaggi, bevendo il suo lambrusco e il mio sangiovese. Nello stesso tempo penso ai compagni di avventura che sono rimasti a casa: Tati, Silvia, Poppi, Andrew, Peter, Cit, Enrico e tutti gli amici che ci hanno aiutato a realizzare questo progetto. Dal profondo del cuore sale un immenso “grazie”! Da parte mia e tutti i compagni.
Vedo passare un paio di bimbi con un bastone, all’estremità una bottiglia d’acqua incastrata e due piccole ruote di legno, portare a spasso loro bolidi. Mi incuriosisco…non resisto! Gentilmente mi faccio dare uno dei loro giochi e lo metto in equilibrio sul mento, subito arrivano altri bimbi e ragazzi. Fro arriva con 6 clave e subito improvvisiamo un passing, poi Giulio e diventano 9 e… perché no?! Giocoliamo anche in doppia altezza!
Lasciamo Nico sulla jeep di Stefano, doveva comprare il nastro per montare il palo! Intanto la strada per arrivare sembra infinita, poche ore dopo ci saremmo dovuti incontrare a Angetu per lo spettacolo.
Arrivati nella “piazza” centrale, la jeep di Stefano non si vede, riceviamo una chiamata “abbiamo bucato tre volte! non abbiamo la ruota di scorta! Nico sta ridendo…non riusciamo ad arrivare!!!” Incredulo gli ripeto più volte se stesse scherzando. Non scherzava!
Distrutti dal viaggio, affamati, delusi dalla perdita di uno dei nostri, un collaboratore di Stefano ci porta al posto dello spettacolo. Montiamo le strutture e l’impianto audio, con l’aiuto dei nostri nuovi amici di viaggio, tenendo alle spalle il nostro bus. Il cerchio era già fatto! il tempo di cambiarci, mangiare banane e manghi… il pubblico era triplicato!
Mille imprevisti, addirittura una vacca entra dentro al cerchio! Dario si improvvisa matador come solo a Vicenza sanno fare! Ovvero scappando! La gente di Angetu, come se volesse sempre più divenire un tutt’uno con noi, stringe il cerchio, fino a costringere più volte l’intervento di alcuni uomini che riordinavano la situazione. Molti di loro non avevano mai visto un bianco, figurati acrobati, giocolieri e funamboli!
Attraversando splendidi torrenti, bimbi giocano allegramente, donne lavano meticolosamente, vacche bevono tranquillamente, coltivazioni di banane, caffè e khat, raggiungiamo Meda Walobo. Nico era a letto con la febbre e tosse! Stefano stava ancora aspettando il camion con la gomma di scorta! Marco mangiando una samosa! Silvia a letto a riposare!
Dopo una cena confusionaria, fra musica a palla e accese discussioni.
Trovo un po’ di pane, biscotti e acqua per Nico e lo raggiungo in camera. Scambiamo un paio d’ore di chiacchere salvifiche per il mio spirito! La mattina parto con Nico e i tre della CCM verso Goba, per accompagnare Nico alla clinica medica.
Così, a malincuore, lasciamo il Circo InZir alla sua sorte! Ci racconteranno poi di uno splendido spettacolo nel centro del paese. Regalando sorrisi e stupore alla cittadina, ricevendo l’energia calda e caotica degli africani!
Arrivati alla clinica, aspettiamo la visita assieme a uomini eleganti, splendide donne con abiti colorati e coerenti e bimbi piangenti. Nico esce dall’ambulatorio con meno sangue di prima, gli hanno fatto le analisi del sangue. Yussef, l’amico dalla CCM che ci ha aiutato, dice che avremmo dovuto aspettare alcune ore! Lo invitiamo a pranzo… gli esiti sono negativi a tutto, per fortuna è solo un’infiammazione alle vie respiratorie, sciroppo e antibiotici la cura.
Il giorno seguente conosciamo Aiuba, un attore e ballerino. Lui fa parte di un gruppo di teatro e danze popolari di tutta l’Africa. Ci propone di fare uno spettacolo a Goba, assieme a loro! Subito andiamo con lui a chiedere il permesso al municipio. Anche qui la burocrazia è lunga e ingarbugliata, capiamo che prima di qualche giorno non potremo performare.
Un po’ tristi, ci prendiamo una giornata di riposo per lavare panni, toglierci le pulci, montare video, editare foto, scrivere il diario di viaggio, fare un po’ di creazione e allenamento.
Prima di andare a dormire, vado fuori a fumare l’ultima sigaretta. Guardando le stelle, “ferme” in cielo e in caduta libera, penso alle cose lasciate in sospeso in queste magiche montagne: buchi da esplorare, arti da scambiare e funghi da scoprire… mi riprometto di tornare! Malinconicamente mi addormento, coperto da due sacchi a pelo, e lascio che il sonno mi regali nuove energie per continuare il viaggio.