Come ogni cosa cambia aspetto passando dal giorno alla notte, così noi arrivati a Ngwesaung nelle ultime ore della notte, ci lasciamo alle spalle la splendida residenza invernale del Circo Inzir, dove nelle ore più calde è nato il collettivo finale.
Senza che nessuno se ne renda conto, nè noi nè l’autista, ci ritroviamo ad affrontare 18 ore di di viaggio assieme!
Il mezzo? Un piccolo van – abituato solitamente a fare una tratta di un paio d’ore, dal mare a Pathein, una piccola città interna – per accompagnarci 900 km a nord, a quello che in passato era il Regno Pagan.
Due chiamate per organizzarsi e via si parte, lasciandosi alle spalle i vecchi programmi, per guidarci al nord.
Alle nostre spalle lasciamo Nay, la menager del Thazin, Nyi Khant, il nostro fratellino che ci ha sfamato e fatto sorridere per oltre una settimana, gli sguardi dei pescatori, i sorrisi e lo stupore dei bimbi, il continuo soffiare del vento e l’echeggiare dell’oceano.
Le condizioni del gruppo sono abbastanza buone, Andrea sta molto meglio, l’umore generale è bello e fra un indovinello e una canzone, spesso pessima, passano le prime ore di viaggio.
Io viaggio davanti con l’autista e un suo vecchio amico, non ricordandomi il nome lo chiamerò Giovanni! Ha circa 43 anni, due figli e moglie a casa. Non è stato facile comunicare con lui, ma impegnandoci, abbiamo avuto un bello scambio di idee e informazioni.
Attraversando paesi vedo bimbi e vecchi che chiedono soldi scuotendo grandi vasi di latta ben lavorati, mi ha spiegato che monaci buddisti non possono toccare le cose terrene come i soldi e soprattutto le donne, quindi demandano ad altri queste mansioni.
Poi mi racconta che suo figlio da lì a poco inizierà a fare il monaco per le vacanze estive, un po’ come dai noi si va a fare i centri estivi boy-scout! Solo qui servono i monaci per brevi periodi. Questo dovrebbe alzare il livello spirituale di tutta la famiglia, qui quasi tutti i bimbi anche per poco tempo e una sola volta, fanno i monaci. Poi Giovanni inizia a lamentarsi del sistema scolastico, dicendo che le classi sono affollatissime e spesso le insegnanti lasciano indietro buona parte della classe, per poter poi dare ripetizioni pomeridiane solo a chi se lo può permettere.
Fra una pausa per un caffè, un piatto di Nodle ripetuto n alla terza volte, il cielo inizia a schiarirsi e con il sorgere del sole arriviamo a Old Bagan, in un silenzio quasi surreale.
Due sono le cose che mi interessa citare, di questa regione, una antica e l’altra contemporanea. La prima è un piccolo cenno storico della città. Il Regno di Pagan fu il primo Stato a unificare le regioni che successivamente avrebbero costituito la moderna Birmania, dove Bagan era la capitale del primo impero birmano.
Poco dopo l’anno 1000, re Anawrahta conquistò Thaton, la capitale dell’omonimo regno dei mon, e portò i sacri scritti del Tripitaka, monaci ed artigiani buddhisti per trasformare Bagan in un centro religioso e culturale del Buddhismo Theravada. In poco più di due secoli furono costruiti centinaia di templi, biblioteche e tutto l’impero fu convertito al Buddhismo. Nel 1287 il regno cadde per mano dei mongoli, dopo il rifiuto a rendere omaggio al loro re Kublai Khan.
La seconda invece è la stratosferica passione per l’MMA, un misto fra wrestling e thaiboxe, infatti tornando da fuori città vediamo le strade vuote ma pieni tutti i bar-ristorante che possiedono una televisione, e già si intravedono i combattimenti fra umani!
Proviamo ad andare a cenare al “nostro solito posto”(siamo qui da poco più di 30 ore!) ma tutto pieno, troviamo spazio in un locale cinese senza tv. Alcuni di noi si fermano in strada a vedere quello che – poco dopo mi viene spiegato – è il lottatore birmano che da un paio di anni detiene la cinta d’oro: tutta il Myanmar si ferma per vedere il proprio connazionale vincere.
Dopo sole 5 ore di bus siamo a Mandalay, ad aspettarci c’è Snow, una giovane del posto che 2 anni fa, in una sala da ballo a Yangon, incontrò Luca un nostro amico di Treviso che vive nella capitale, da allora stanno assieme.
Ovviamente come benvenuto, riempie una tavola intera di tantissimi piatti differenti, per farci assaggiare più cose possibili! Non nasconde il suo stupore nel vedere, alla fine, tutti i piatti vuoti. Noi come riconoscimento per l’ospitalità, alla sera, presentiamo il nostro spettacolo, per la clientela del suo locale e la sua famiglia.
Filosofeggiando sull’etica e il modus operandi del Circo Inzir, arriviamo al ponte U Bein. Troviamo la location “giusta”, di fronte al lungo ponte di legno. I nostri camerini sono il minivan, col quale siamo arrivati e il retro del mezzo.
Cambiandoci per lo spettacolo, arriva un piccolo e scarno omino che ci osserva.
Linda: Scusi! questi sono i nostri camerini!
Lui: E io sono della Polizia!
Linda: Ah Ok! Sandro!?
Lui: Chi è il leader?
Sandro: Non abbiamo un capo!
Esterrefatto dalla risposta di Sandro, rimane qualche secondo in silenzio e gli chiede nome, cognome e nazionalità. Sandro gli da quello che vuole e gli spiega cosa stavamo facendo, poi gli consiglia di andare a vedere lo spettacolo da di fronte! Lo spettacolo sta già iniziando!
Ecco lo stupore di tutti mentre Elena si contorce, la silente tensione durante la danza sul filo di Silvia e le stranite e grasse risate per il mangiatore di palloncini Dario e i suoi piccoli complici.
Durante l’entusiasmo a fine spettacolo, soddisfatti della bella energia della gente e di come ci siano andate le cose, torna il piccolo uomo, questa volta però, ben agghindato delle vesti che celebrano il suo potere e seguito da qualche altro collega. Richiede a Sandro il passaporto, lo fotografa… e poi ci chiede di fare un foto di gruppo con lui!
Al tramontar del sole siamo già diretti verso l’ultima tappa birmana a Inle Lake, località turistica subito dentro le porte del Chan State, regione indipendente con milizia autonoma, rispetto lo stato centrale di Yangon.
Fra l’equilibrio sulle piccole barche di abili pescatori, le donne dai lunghi colli, i filatori di tessuto di loto, le calde acque termali, uno spettacolo in un piccolo villaggio di pescatori e l’anniversario dell’etnia Poh-a, profuga da oltre 9 secoli ma ben radicata alla sua cultura, arriva il fatidico giorno della partenza e della separazione: gruppo flangia estrema “apriamo nuove vie” e gruppo 1 ora di aereo contro 15 di minibus.
Poco prima della partenza del primo gruppo, arriva una chiamata dall’agenzia,
primo brutto segno,
due devono andare a parlare in agenzia,
secondo brutto segno,
le facce di Linda e Elena a loro ritorno
terzo bruttissimo segno.
I foreign, gli stranieri, non possono passare per lo stato Chan, che solo dopo scopriamo essere un grande produttore di oppio e anfetamine. Lo sguardo beffardo dei due “meglio un’ora di aereo” ci rende ancora più difficile accettare la sconfitta. Mentre loro se ne vanno comodamente all’aeroporto vicino, il gruppo “apro nuove vie” si trasforma in “culi quadrati mangio Noodle per dimenticare”, facendosi 18+3+5+6=31 ore di bus, ripercorrendo quasi a ritroso tutto il giro fatto in venti giorni, ma questa volta in poco meno di tre! Fino a Chiang Kong la frontiera più a nord col Laos, vicina a Tachilek, la frontiera che avremmo dovuto passare.
Quando e dove si rincontreranno i due gruppi diventati: “meglio un ora di aereo, perché no un elefante” e “culi quadrati, perché no una fenice”?
Con questo emblematico mistero vi saluto e vi rimando al 4° e prossimo capitolo.