Buongiorno a tutti qua è Miss Lychee che vi parla, in diretta dal suo secondo viaggio Inzir.
Per chi non lo sapesse siamo partiti da poco più di una settimana e abbiamo superato la frontiera Thailandia-Birmania all’altezza di Mae Sot.
Quest’anno stiamo viaggiando con mezzi locali, pubblici e non, per cui, dopo un primo confronto di gruppo (chiamo eufemisticamente così le tanto deliranti quanto legittime discussioni sul da farsi di un collettivo variegato, totalmente orizzontale e profondamente poco strutturato) decidiamo di andare in direzione Hpa-an, piccola cittadina della zona sud-orientale del Myanmar.
Quest’ultimo, nome ufficiale del Paese, torna in voga negli anni Novanta del secolo passato, durante i primi tentativi di restauro democratico. Birmania (Burma), il nome più colloquiale, deriva infatti dalla popolazione a capo del governo e non sottolinea la varietà di etnie all’interno della confederazione.
La prima stranezza che salta all’occhio è la guida a destra che coincide con il senso di marcia, anch’esso a destra. Questo sistema insensato e pericolosissimo deriva dal fatto che il senso di marcia venne cambiato dopo l’indipendenza dagli inglesi proprio per velleità di ribellione alla tradizione anglosassone.
Ci godiamo le ultime due ore di sole birmano dal finestrino: la luce, prima arancione e poi rosa intenso, se ne va a fatica dietro le montagne frastagliate e la foresta sconfinata. Saliamo e scendiamo per strade di campagna rischiando ad ogni curva di schiantarci contro ogni mezzo che viaggia nella corsia contraria. Sembra che il clacson ripetuto e costante dalle auto in corsa sia anche la loro, e nostra, unica, ancora di salvezza. Ad ogni clacson, ovviamente, ilarità di gruppo, per esorcizzare il terrore. Passiamo montagne, campagne, agglomerati di capanne e innumerevoli check point. Per quanto mi riguarda, però, il vero spettacolo inizia quando la luce solare cala del tutto. L’illuminazione notturna viene unicamente affidata a leds di qualsiasi forma e colore: bianchi ospedale simil lampioni, colorati su macchine e camion che diventano così gigantesche navicelle spaziali anni 80, alberi decorati con strisce di led calanti come liane fosforescenti o scintillanti salici piangenti. Ci rendiamo conto di aver fatto un tuffo al passato, alle giostre della nostra adolescenza potenziate di esotismo e povertà. Un luna Park violento ma allo stesso modo allegro ed accogliente: il Burma Park!
L’arrivo a Hapa-an ci conferma questa sensazione. L’ostello in cui stiamo è un cantiere in costruzione colorato con tonalità acide e accese in cui lavorano giovani con tatuaggi, dilatatori e bellissime fisionomie indios. Arriviamo alle 11 di sera e la città é gia deserta, per la strada solo cani, scarafaggi e tanta calura. Sembra un far west dei giorni nostri, un centro commerciale abbandonato, sembra di essere finiti in un film horror demenziale, oppure in Mad Max. Per coronare il nostro ritorno alla pubertà, il giorno dopo noleggiamo dei motorini ed esploriamo la zona tra templi buddisti su laghi, cascate inesistenti e grotte piene di buddha e luci leds. C’e una zona residenziale con casette di legno sopraelevate, spaziose e arredate in uno stile gypsi ma sobrio, movida e biliardi in giardino danno alla zona una bizzarra aria di tranquillità e benessere. Ci piace così tanto che pensiamo all’idea di poterci vivere. La gita dura finché fa buio, e ci piace così tanto che scatta il progetto Inzir 2020 in motorella.
Il giorno dopo partiamo per Yangon. Il viaggio in autobus inizia destabilizzante: abbiamo appena scoperto che l’associazione su cui facevamo riferimento qua in Myanmar, ci lascia a piedi, decidendo di fermare la collaborazione. Dopo un primo momento di scompenso, tiriamo un sospiro di sollievo. Ci ricordiamo che le differenze mentali sono ovunque, non solo tra continenti diversi, ma anche tra persone dello stesso Paese, delle volte addirittura all’interno del nostro piccolo gruppo. Cerchiamo di capire il perché di queste modalità contrastanti e trovare una soluzione ma, delle volte, l’unica soluzione è accettare la differenza e continuare sulla propria strada. Dubitiamo sul fatto di poter continuare il viaggio in questo Paese: qua è sconsigliato fare spettacolo in strada senza i permessi delle autorità, parliamo con diverse persone dell’argomento, le opinioni sono tante e diverse ma in molti citano l’espatrio. Interiorizzato questo aspetto, non ci facciamo prendere dal panico e facciamo subito scattare il piano B. Aiutati dal web troviamo il contatto di un’associazione che fa circo sociale con bambini di strada, Serious Fun in Yangon, scriviamo un messaggio a cui, dopo poco, risponde un entusiasta giocoliere inglese, Jules H., che scopriamo essere la colonna portante del progetto. Jules ci dà appuntamento per il giorno dopo quando, tra birrette, racconti in comune e risate, ci organizziamo per partecipare l’indomani a uno dei suoi laboratori. Il risultato è una splendida giornata dove il classico momento formativo viene leggermente ridotto per far spazio al nostro spettacolo, a una partita di pallone vinta, ovviamente, dai ragazzi del centro, e da una merenda al riso e latte che somiglia molto a quella che ci facevano le nostre nonne. Siamo tutti entusiasti: noi, il preside dell’orfanotrofio, i bambini, Jules e tutti i suoi collaboratori che, se ci stanno leggendo, ringraziamo ancora di tutto cuore per la disponibilità, la freschezza e l’amicizia. Incontro porta altro incontro, questa è la magia di relazioni come queste: Jules ci presenta un amico che, per questioni di privacy, chiameremo Pasquale, attore francese, allegro e divertente, ora di base in Myanmar per lavorare nei campi profughi. Pasquale ci da alcune informazioni su Sittwe e le zone di confine, dove (aldilà delle informazioni che arrivano in Europa) da ottobre fino ad oggi, stanno continuando ad avvenire le peggiori atrocità della storia più contemporanea. Un altro amico incontrato a Yangon che, per questioni di privacy, chiameremo LukeSkyWalker, ci avverte dell’alta pericolosità della zona. Circo Inzir è combattuto ma, tra le velleità pseudo antropologiche di voler vedere i fatti con i propri occhi e il desiderio di non finire nel calderone del turismo nero, decidiamo di non allungare il nostro percorso e non dirigerci quindi verso Sittwe. Intanto esploriamo Yangon, mix violento di smog, afa e templi dorati. Di notte le strade della città pullulano di topi, di giorno si riempiono di mercati schiamazzanti e puzzolenti, sui palazzi neri di inquinamento gigantesche insegne di compagnie telefoniche, tecnologia e compravendite di oggetti d’oro. Il nostro ostello si trova giusto alle porte di Chinatown dove l’assurdità e il trashume vengono potenziati da migliaia di decorazioni cinesi a pochi metri da terra, ombrellini, cilindri rossi e dorati e cortei di ragazzi vestiti da draghi che danzano a ritmo di tamburi e saltano tra piccoli pali in fila. Sono i festeggiamenti per il capodanno cinese che dureranno diverse settimane.
Salutiamo Yangon con dei brindisi clandestini a cavallo di un autobus del futuro. Disegni folgoranti sulla carrozzeria, tendine imbarazzanti, led azzurri e aria condizionata violenta. Appena prendiamo sonno ci svegliano per mangiare, cosa che suscita ilarità e lamentela ma che non ci impedisce di sederci a tavola e ordinare dei noodle. Ripartiamo, ci riaddormentiamo e ci risvegliano dinuovo: siamo arrivati a destinazione! Fuori è notte fonda, le gocce sui finestrini fanno affermare a qualcuno, sta piovendo! Dall’autobus scendiamo solo noi e i nostri zaini che vengono ammucchiati sul ciglio della strada, chiediamo agli autisti dove poter dormire, ridono e se ne vanno lasciandoci nel buio più totale. Scopriamo che le gocce non son di pioggia ma umidità, così alta che non si respira. C’è chi va alla ricerca di un ostello, chi della spiaggia, chi decide di aspettare l’alba esattamente nel punto in cui si trova. Collassiamo sugli zaini, mangiamo un ananas, beviamo del gin, ascoltiamo musica. Il disagio diventa subito relax. Poco a poco inizia il movimento nel villaggio: ombre che camminano con ceste in testa o carretti appresso, ombre in bici, ombre in motorino, tutti con i loro frontalini andando nel buio verso chissà dove. Gli autobus iniziano a passare, i bar aprono, i negozianti allestiscono. LukeS.W. ci ha consigliato un posto per dormire, fuori dal paese, lungo un promontorio verso nord. Telefoniamo ma nessuno parla inglese per cui un paio di noi vanno in esplorazione tornando entusiasti, appena arriviamo scopriamo il perché. Il posto si chiama Thazin Beach Resort e, nel mio immaginario, si può facilmente associare al paradiso. Qualche casetta in legno e muratura per le camere, qualche struttura in pali di legno e foglie di banano per le aree comuni, una piccola stanzetta per la cucina. Reception, cassa e ufficio sono condensati in un unico tavolino nel salone comune. Tutto il resto è una spiaggia di sabbia fine e chiara, palme, amache e sdraio in legno. Noi dormiamo in delle tende da campeggio nella parte rialzata della spiaggia. Appena si scende verso il mare, verso il gigantesco bagnasciuga, si notano sulla destra degli scogli di roccia nera su cui si stagliano tre piccole pagodine dorate. Ci buttiamo in acqua all’istante, le onde ci divertono e ci frullano e quando usciamo siamo tutti un po’ rotti e un po’ sfregiati, ma felici. Le sorprese continuano appena iniziamo a conoscere lo staff: sono tutti ragazzini giovani e disponibili anche se solo uno di loro parla inglese, si chiama Nyi Khant e diventa subito il nostro punto di riferimento. A capo di tutti c’è invece Nay, una ragazza solare e simpatica che sposa subito la nostra causa di spettacolanti alla ricerca di pubblico: in un paio di giorni siamo nella località balneare di Ngwesaung Beach, a presentare il nostro show. Nay ci aiuta in tutto, volantini, pubblicità e spostamenti, ci stupiamo ma lei risponde ai nostri ringraziamenti con un sincero sguardo di apprezzamento e reciproco ringraziamento. Lo spettacolo di oggi è un successo di persone entusiaste e divertite, gente di qualsiasi eta e genere, gente della spiaggia, ristoratori, ambulanti e turisti. Per l’occasione presentiamo il nostro nuovo collettivo acrobatico, creato grazie al supporto tecnico di Elena, la nostra nuova coreografa! .
L’idea era di farsi un paio di giorno sulla costa e poi ripartire verso nord ma, proprio durante gli allenamenti, ad Andrew gli piglia il colpo della strega! Visto il lusso, il benessere e la possibilità di far spettacolo, la cosa non ci turba particolarmente e, aspettando miglioramenti continuiamo a tenerci occupati in quei di Nwgesaung Beach. Durante un fuoco in spiaggia, tra una sigaretta e l’altra, Nyi Khant ci fa un rapido spaccato della vita di un adolescente ribelle in Birmania che ci dà un bello schiaffo in faccia e ci piazza coi piedi ben piantati a terra. A noi non resta che riflettere, prendere clave corde e palloncini e raccogliere le energie per montare un altro spettacolo in un villaggio poco più in là, agglomerato di case di pescatori che rivive ogni anno durante la stagione secca. Circo Inzir fa un bellissimo cabaret nel campo da calcio, prato gigante nel mezzo delle capanne, mentre la sottoscritta va in gita con Andrew dal dottore. Sorvoliamo sulle risorse sanitarie locali e passiamo direttamente alla gita del giorno dopo, a cavallo di scoppiettanti motorini che, per superare i fiordi della costa, vengono caricati su delle barchette che fanno la spola tra una riva e l’altra. Alla fine di questo percorso si trova la cittadina di Khan Tay e il ristorante di Magda, pacifica e solare donna bergamasca che per sei mesi all’anno cucina pasta fresca e pizze per i viaggiatori che passano da casa sua. Dulcis in fundo, dopo giorni di grattamenti, la vostra Miss Lychee scopre una colonia di esserini tra i capelli. Peccato che qua lo shampoo per sconfiggerli è solo un normale shampoo antiforfora che non risolve la questione, i pettinini per spulciare sono inesistenti, la gente a cui chiedo soluzioni alternative mi guarda, scuote la testa e ride. Non mi resta altra soluzione che entrare in uno dei tanti saloni di bellezza e chiedere una piastratura di capelli. In un attimo mi ritrovo nel retro del negozio con una ragazza che insapona lava e risciacqua più e più volte. Io sono stesa su un lettino e la guardo, lei ricambia e ride chiedendomi in continuazione ok??? Il salone è pieno di donne di qualsiasi età, una bambina si pianta di fianco a me e continua a guardarmi con occhi giganteschi, una ragazzina aiuta le donne in sala, mi fissa meno ma mi osserva con la coda dell occhio e ogni tanto accenna un sorriso. Dopo il lavaggio torno nella sala della piega dove, ispirata dai loro tagli eccentrici e dal desiderio di debellare la piaga definitivamente, decido di fare anche il colore. È la prima volta che mi tingo ma penso che qua, nel Paese del ritorno all’adolescenza, sia il momento buono per farlo. Sono indecisa ma grazie ai consigli stilistici di Gera opto per un prugna scuro. Loro tingono lavano stirano, ridono e continuano a chiedere ok?? You like?? I like.. usciamo dal negozio sperando di aver debellato la colonia di esserini. Saliamo in motorino e ci dirigiamo verso un bar. Non c’è avventura senza ostacoli da superare o problemi da risolvere. Non c’è ritorno all’adolescenza senza piega e colore.
Tutto il resto è gioia, tutto il resto è Burma Park!